Benevolenza: buona disposizione d’animo verso una persona, affettuosa simpatia, indulgenza (dal dizionario Treccani)
Consideriamo la possibilità di una benevolenza che non sia particolare o occasionale, bensì una disposizione d’animo costante nei confronti delle persone che ci sono vicine o che incontriamo, ovunque. Una benevolenza che sia il rifiuto di giudicare, del pregiudizio, della diffidenza, dell’indifferenza: guardare con simpatia coloro che non conosciamo oppure sono diversi da noi per l’aspetto, la lingua, le idee. Una benevolenza, per così dire, pregiudiziale. Ci sto provando, per stare meglio con me e con gli altri e perché penso che sia giusto.
Ha avuto una vita soddisfacente, per quello che ne so. Gli ultimi vent’anni rallegrati dalla nipote che è arrivata quando ormai non ci sperava più. Quella nipote, che ora soffre molto, ha avuto un rapporto speciale con la nonna; ora è sul letto, assistita da Ginger e Mario, i due gatti socievoli (poi forse arriverà Fred “Grattugia”). Addio Severina.
Sono stato a Modica per qualche giorno e ho scoperto il famoso cioccolato, che non avevo mai assaggiato. Lì per lì non mi ha fatto un buon effetto: per la consistenza inaspettata e il gusto difficile. Poi piano piano…
Quando lo mangi dovresti dimenticare quell’altro che conosci bene: il cioccolato di Modica è un’altra cosa. La materia prima è la stessa ma i processi produttivi e i prodotti finali sono assai diversi.
Le fave di cacao vengono fatte fermentare e poi essiccate, prima del trasferimento al luogo di produzione. Qui vengono pulite, tostate e decorticate; poi macinate e raffinate: il risultato è la massa di cacao (detta anche pasta di cacao o liquor) che contiene più o meno in parti uguali la parte secca e quella grassa (burro di cacao).
Massa di cacao
Fino a questo punto il processo è sostanzialmente uguale per tutte le tipologie di produzione.
Cioccolato di Modica prima della formatura
Successivamente per il cioccolato di Modica la massa di cacao viene riscaldata e resa fluida a 40-45 gradi, con aggiunta di zucchero e eventuali aromi, senza ulteriore lavorazione; poi il cioccolato viene formato e confezionato.
Tavoletta di cioccolato di Modica
Invece nella produzione industriale si procede alla separazione della parte secca e del burro di cacao, che poi vengono mescolate in varia proporzione e lavorate a lungo ad alte temperature: il risultato è il cioccolato (che generalmente si definisce fondente). Il cioccolato al latte si ottiene con aggiunta di latte in polvere. Il cioccolato bianco contiene solo burro di cacao.
Il cioccolato artigianale è un discorso a parte, in quanto i processi produttivi sono presumibilmente assai diversi da un’azienda all’altra.
C’è un bel fresco di prima mattina eppure cerco l’ombra. Credo che sarà così anche in autunno e poi in inverno primavera estate e poi ancora autunno. Nostalgia tanta di Kim Ki-duk
La storia inizia nel 1987, quando Kleo – agente segreta sotto copertura della Germania dell’Est – uccide un uomo a Berlino Ovest. Poco dopo viene arrestata nel suo paese e condannata per alto tradimento e spionaggio . Dopo la caduta del muro Kleo viene liberata, vuole conoscere la verità e vendicarsi dei responsabili della sua prigionia. Detta così potrebbe apparire una sorta di spy-thriller; in realtà si tratta di una storia drammatica con aspetti tragicomici, personaggi sopra le righe, come Sven, il poliziotto dell’ovest che è stato testimone dell’omicidio dell’87 e ora insegue Cleo, ma … E poi Uwe, agente segreto della Germania est, evidentemente psicopatico; e Thilo giovane alternativo di Berlino ovest che ha occupato la casa di Cleo. Colpi di scena a non finire, uccisioni fantasiose: un po’ Tarantino un po’ fratelli Cohen. Insomma un bel divertimento, intelligente, inconsueto.
Ricordava sempre il cartello che troneggiava sui tavoli luminosi della grande tipografia: UN’ASINO. Era una sorta di quadro composto con caratteri di legno alti un palmo. L’apostrofo era rosso. In quel momento l’asino doveva essere lui. Anche se a dire il vero, avendo frequentato a lungo un asino in montagna, poteva dire che era molto più intelligente di un cavallo e anche di qualche cristiano. Quando avevano chiuso la vecchia tipografia era riuscito a impossessarsi del quadro con la scritta e l’aveva appeso nel suo negozio, ma non lo notava nessuno. (Claudio Piersanti, Quel maledetto Vronskij)
L’ultimo romanzo di Piersanti non mi ha preso: l’ho letto tutto e anche la conclusione era un po’ scontata (dato l’autore). Insomma non lo consiglierei a qualcuno. Voglio rileggere qualcosa, di Piersanti, che mi era piaciuto, come ad esempio Il ritorno a casa di Enrico Metz.
È uno di quei periodi che non so cosa leggere. Ho finito i racconti di Carofiglio raccolti in Non esiste saggezza, mi sono piaciuti. Ho consigliato a Camilla di leggere Giobbe, il romanzo che mi ha fatto scoprire Joseph Roth; e ora ho iniziato a rileggerlo.
Questa è un’estate così particolare, non solo per il gran caldo ma anche per il gatto e il cane con i quali convivo per alcune settimane; e che perciò in qualche modo va messa in evidenza anche nel nome (chissà se qualcuno se ne accorge).
Questa è l’estate delle magliette fine, me ne sono reso conto dopo un tot di giorni di caldo bestiale. Fra una maglietta di cotone di normale pesantezza e una leggerina c’è una bella differenza, per me. E così ho cominciato a mettere quelle poche magliette più fine, sottoponendole a un ritmo di lavaggio accelerato. E anche ora che c’è qualche grado in meno non viene meno il piacere di questa leggerezza.
(Se qualcuno storcesse il naso davanti all’uso di “fino” in luogo di “fine”, da cui “magliette fine” e non “fini”, si veda la voce “fino-1” su Treccani online per apprezzare l’esattezza dell’uso 🧐)
fino1 agg. – 1. Variante di fine1. Le due forme si possono scambiare in molti casi, mentre in altri i loro sign. divergono, per cui si può contrapporre, per es., seta fina, sottile, leggera, a seta fine, di qualità scelta, essendo meno usato fino nei sign. estens. (la preferenza per l’una o l’altra forma può tuttavia variare da regione a regione). Altre volte, la forma fino è esclusiva, come nella frase lavorare di fino, eseguire lavori che richiedono precisione, delicatezza, gusto, ecc.; nella locuz. fam. fa fino, di uso, modo, ecc. che appare elegante, raffinato; e nell’espressione fino amore, termine tecnico che nella poesia occitanica (fin amor) indicava l’amore spirituale e perfetto. […]
Mi succede talvolta con i libri e con i film, di rileggerli e rivederli anche più volte. Con una mostra d’arte non mi era ancora accaduto; ci voleva la “scoperta” di Donatello, che per me (ignorante di arte da bravo fiorentino) era un grande artista fra gli altri.
Egli è stato infatti non semplicemente l’artefice di una svolta epocale al pari di Giotto, di Raffaello o di Caravaggio, ma molto di più, cioè un fenomeno di rottura che ha introdotto nella storia nuovi modi di pensare, di produrre e di vivere l’arte. E siccome il futuro non si costruisce mai senza il passato, questa rivoluzione si è originata in Donatello da una memoria diretta dell’arte prima di lui che, a quanto pare, lungi dal limitarsi a quella romanità classica su cui si tende comunemente ad appiattire il senso della parola “Rinascimento”, ha smosso millenni, ovvero tutto quello che ai suoi occhi si presentava come antico, fino all’epoca di Giotto. Il ‘terremoto’ Donatello è stato così violento da determinare ripetute scosse di assestamento, e per una fitta serie di generazioni cominciata poco dopo il suo esordio di ventenne (1406).
(Caglioti, Catalogo della mostra)
La mostra di palazzo Strozzi è bellissima, me l’avevano detto amici che di arte ci capiscono. Un conto è guardare le opere d’arte riconoscendone la bellezza e provare emozione; tutt’altro avere una guida come Elena, brava e sagace, capace di tenere viva l’attenzione di un gruppo di venti persone. Lei non si limita ad illustrare bene le opere ma racconta quello che c’è dietro: la vita dello scultore, i suoi rapporti con gli altri artisti, lo sviluppo della sua vicenda artistica.
Questa Madonna col bambino (terracotta del 1422 circa) mi ha fatto pensare ad una madre che conosco bene, quando sorridente stringe al seno il figlio sazio del suo latte.
La Madonna Pazzi (in marmo, con la tecnica dello stiacciato), dice Elena, è un’opera senza tempo; anche fra mille anni sarà ammirata e considerata un capolavoro. È la cosa che mi ha emozionato di più, fra tante opere meravigliose.
Il crocifisso bronzeo di Donatello (realizzato intorno al 1445 per la Basilica di S.Antonio a Padova) è in una delle ultime sale della mostra di palazzo Strozzi, organizzata in senso cronologico. All’epoca Donatello aveva 60 anni: a 20 aveva realizzato un crocifisso ligneo che l’amico Brunelleschi aveva definito (pare) un contadino messo in croce. I due avrebbero collaborato per alcuni decenni, fino alla vicenda delle porte bronzee che Donatello fece per la sacrestia vecchia di San Lorenzo e furono motivo di dissenso con Brunelleschi in quanto non conformi allo stile architettonico del luogo.
Non ci speravo quasi più, dopo quasi un anno, e invece rieccola la mia food blogger preferita: le sue immagini bellissime, le ricette giuste e ben scritte (più che ricette).
Per festeggiare questo ritorno farò presto il suo couscous estivo.